IL RUOLO POTENZIALE DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEL MODULARE I RITMI CIRCADIANI E LA SALUTE METABOLICA
Fattori stressogeni legati allo stile di vita come il sonno e modalità di assunzione dei cibi sono in grado di disturbare i ritmi circadiani e influenzare il microbioma intestinale.
La conseguente disregolazione delle funzioni mediate dallo stesso microbioma, (come ad esempio la maggior produzione di idrogeno solforato e la diminuita produzione di acidi biliari coniugati, con risultante povertà di butirrato),
a sua volta veicola alla difficile ossidazione dei substrati energetici.
Non sarà difficile comprendere come questo disturbo ai normali ritmi del microbioma possa tradursi in un maggior rischio di obesità e sviluppo di sindrome metabolica per l’uomo.
Il giusto riposo e una dieta salutare sembrano due fattori fondamentali nel mantenere una buona composizione del comparto microbico intestinale.
In uno studio condotto nel 2019 su 28 volontari, vennero raccolti dei campioni fecali durante le normali ore di veglia. Durante il giorno i produttori di butirrato (Lachinospora, Roseburia, Eubacterium) erano elevati presto in mattinata.
Altri gruppi che emergevano presto in mattinata erano i gruppi di consumatori primari in grado di utilizzare come fonte energetica acetato e lattato dalla incompleta ossidazione dei carboidrati. Nel post pranzo i gruppi in aumento erano invece quelli tolleranti agli a acidi biliari e quelli produttori di idrogeno solforato, come Desulfovibirio (in risosta all’aumento di lattato e alla presenza di acido taurocolico)
alla diminuzione del consumo di cibo durante il giorno si osserva uno shift del microbioma con una diminuzione dei batteri produttori di acidi grassi a catena corta. Il digiuno notturno aumentava la produzione di SCFA propionato.
Questo studio ha dimostrato l’effetto dell’orologio biologico dell’ospite sulla composizione del microbioma intestinale.
Un altro studio, la parziale deprivazione di sonno (4 ore per notte) ha diminuito sensibilmente la sensibilità insulinica e anche la diversità microbica intestinale, dove si è vista una crescita di popolazioni batteriche associate a disturbi metabolici e obesità ( Firmicutes, Coriobacteriacee) contro una dimuzione di Bacteroidetes.
La frammentazione del sonno dovuto a problemi cronici di apnea causa uno shift dei maggiori Phyla del microbiota intestinale, abbassando i Bacteroidetes del 20% gli Actinobacteria del 50% e alzando i Firmicutes del 20%, profilando il classico trend del microbioma dei soggetti obesi.
La dieta dell’ospite causa repentine alterazioni della composizione del microbioma. Due delle maggiori componenti che resistono alla “microdigestione” intestinale sono fibre vegetali e polifenoli, che promuovono un ambiente ricco di butirrato aumentando la presenza di batteri carbo-degradatori delle famiglie Ruminococcace, Eubatteriacee e Lachnospinorace e se comparate a diete ricche di proteine animali e povere di fibre vegetali.
E’ statoinoltre osservato come nei ratti una dieta ricca di galattooligosaccaridi e lattoferrina, può potenzialmente influenzare in maniera positiva il ciclo sonno veglia e diminuire lo stress ossidativo sulla diversità microbica intestinale.
La glicazione è un processo biochimico che consiste nel legame tra un carboidrato e una proteina, irrigidendo la sua struttura, formando composti detti glicotossine che l’organismo non può eliminare .
Gli AGEs possono formarsi sia in maniera esogena che endogena, e fondamentali sono i processi di detossicazione e escrezione per eliminarli.
Il loro accumulo nei tessuti infatti produce stati infiammatori, stress ossidativo, alterazione della funzionalità cellulare.
Si formano per una serie di reazioni a catena non mediate da enzimi, in cui una prima reazione dipende dalla glicemia ed è reversibile se questa si riuce, se invece aumenta si formano complessipiù stabili, come ad esempio l’emoglobina glicosilata. Nella terza fase questi ultimi accumulano altre trasformazioni formando i persistenti AGEs.
Oltre a causare una alterazione morfo-funzionale della struttura proteica, si legano a specifici recettori cellulari attivando la trascrizione di fattori proinfiammatori, possibilità di trombosi, insulino resistenza e angiogenesi. La loro natura è tale che aumentando i processi infiammatori e stress ossidativo accelerano i processi di invecchiamento dei tessuti. Fisiologicamente però la loro presenza proporzionale all’età.
Tra le fonti esterne c’è il fumo di sigarette e alcuni alimenti in particolare tra cui la cane di maiale, pollo, pesce , uova, formaggi, dolci e farine raffinate.
Le problematiche legate all’aumento dei prodotti avanzati della glicosilazione sono:
- malattie cardiovascolari, riducendo l’uptake di lipoproteine a bassa densità LDL con un aumento nel circolo ematico
- diabete e complicanze, la glicazione avviene in maniera maggiore nei tessuti insulino dipendenti come globuli rossi, i reni e gli endoteli, determinando nei diabetici il maggior rischio di insorgenza di neuropatia, insufficienza renale, ritardo nella guarigione dalla ferite
- insufficienza renale, i pazienti con insufficienza renale hanno maggiore difficoltà di eliminare gli AGEs
- disturbi cognitivi
- osteoporosi, sembrano infatti implicati nella perdita di tessuto osseo, con diminuzione del numero degli osteoblasti
- sindrome dell’ovaio policistico,
- sarcopenia
- invecchiamento della pelle e riduzione del collagene
Un gruppo di ricercatori coordinati da Saverio Minucci, Direttore del Programma Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia e Professore Ordinario di Patologia Generale dell’Università degli Studi di Milano (in collaborazione con il gruppo di Marco Foiani, Direttore Scientifico dell’IFOM e Professore Ordinario di Biologia Molecolare dell’Università degli Studi di Milano), ha scoperto un inedito meccanismo molecolare in grado, se attivato, di far morire “di fame” le cellule tumorali. I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, appaiono sulla prestigiosa rivista scientifica Cancer Cell.
Si tratta di una nuova strategia per combattere il cancro attaccando il suo metabolismo alterato. I ricercatori hanno scoperto che una dieta che porti a un abbassamento della glicemia, associata alla somministrazione di metformina, innesca una reazione a catena che, coinvolgendo la proteina PP2A, porta alla morte delle cellule tumorali. La metformina è un farmaco ben noto e ampiamente utilizzato contro il diabete di tipo II. Nello studio sono stati già coinvolti altri centri che avvieranno a breve studi clinici.
Nella sperimentazione clinica dovrà essere confermata la tollerabilità della combinazione e inoltre in via preliminare si dovrà valutare l’efficacia della combinazione di una dieta ipoglicemica e metformina per fermare la progressione del tumore, in aggiunta a terapie già in uso come la chemioterapia.
Studi precedenti hanno già dimostrato che i pazienti in terapia chemioterapica tollerano bene sia la riduzione glicemica, sia l’assunzione di metformina.
«Si sa da circa un secolo che il metabolismo è una delle differenze chiave fra la cellula cancerosa e quella sana – spiega Minucci – e quindi deve essere possibile uccidere le cellule malate sfruttando questa differenza. La cellula usa due processi per generare energia: la glicolisi, che si basa sulla disponibilità di glucosio, e la fosforilazione ossidativa, che può essere inibita con la metformina. Noi abbiamo pensato di attaccare il metabolismo mirando al fenomeno della “plasticità metabolica”, vale a dire la strategia con cui la cellula cancerosa si adatta, passando dalla glicolisi alla fosforilazione ossidativa e viceversa, in condizioni di mancanza di nutrimento. Nel nostro studio, riducendo il tasso glicemico con la dieta e somministrando metformina, abbiamo inibito la plasticità metabolica e abbiamo fatto morire le cellule tumorali. Ma siamo andati oltre, scandagliando il meccanismo dell’effetto sinergico di dieta e metformina. Grazie a una dettagliata analisi funzionale a livello molecolare, abbiamo scoperto che ciò che fa morire la cellula tumorale è l’attivazione della proteina PP2A e del suo circuito molecolare. Questo è un dato importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche utile per la clinica. Ipotizziamo infatti che i pazienti che presentano una mutazione in questo circuito potrebbero non rispondere alla futura terapia con dieta e metformina».
«Siamo nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici – conclude Minucci – e questo passaggio così rapido è molto raro nel passaggio dalla ricerca di base alla clinica, ed è per noi motivo di grande soddisfazione e di aspettativa per gli sviluppi futuri».
Fonte: Comunicato stampa